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E’ tutta questione di paura

di Redazione BlogTivvu.com

Pubblicato il 2024-02-23

Questo articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla. E’ tutta questione di paura La mia nipotina mi ha regalato un disegno meraviglioso, coloratissimo e simbolico: un uccellino giallo e azzurro. Lo ha anche firmato, con il cognome della madre, che …

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Questo articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla.

E’ tutta questione di paura

La mia nipotina mi ha regalato un disegno meraviglioso, coloratissimo e simbolico: un uccellino giallo e azzurro. Lo ha anche firmato, con il cognome della madre, che poi è anche il mio.

Suo fratello, piegando la testa leggermente e abbozzando un sorriso tra il rassegnato e il compiaciuto, mi ha spiegato:

Ah, si, lei vuole il cognome delle femmine.

In che senso? – chiedo io

Voglio il cognome di mamma, perché sono femmina. – risponde direttamente lei.

La piccola mi dà la spiegazione e allora le dico che in realtà quel cognome è comunque paterno, si sarebbe dovuta chiamare come la nonna, ma anche lei eredita il cognome paterno…è una catena al contrario.

Mi ha guardato stupita… ha quattro anni e ha detto:

Allora, zia, dobbiamo cambiare tutto!

Quante volte ci ho pensato, a questa cosa da piccola, perché scegliere sempre il maschile, perché annullare la personalità di qualcuno a vantaggio di un altro, sempre maschio?

Oggi è tema attuale, ma quando ero piccola era un ragionamento da sovversive! Una piccola lettrice sovversiva, che amava la poesia ermetica, che leggeva “Uno, nessuno e centomila” ma era nata, purtroppo, femmina!

Le cose dentro sono affare da femmine, quelle fuori e’ roba da maschi!- mi veniva sempre detto.

Come un déjà vu mi sono rivista bambina, una bambina che per beffare la natura aveva deciso di crescere in fretta, tanto in fretta da anticipare quasi ogni cosa, aspetto fisico compreso: fu così che mi crebbero le tette! E cominciarono i guai.

Mi son cresciute le tette!

Quando eravamo bambini, quando lo ero io, un momento di vera libertà era proprio quella eta’ “ibrida”, prima dei dieci anni generalmente, in cui nessuno aveva paura di far stare insieme bambini maschi con le femmine!

Si, ho usato “paura” consapevolmente. Perché? Perché in determinati contesti, luoghi, comunità, città, scuole, maschi e femmine sono considerati come il “diavolo e l’acqua santa”! Li dove “diavolo” stava per “femmina”! Immancabilmente.

Quanto volte ho sentito queste parole!

Ma quanta paura ha provocato negli uomini vedere crescere il seno femminile? Sarà stato uno shock così terribile che qualcuno ha inventato il reggiseno, con la scusa del sostegno contro la forza di gravità!

Adesso, dopo tutta la fatica che ho dovuto fare per attraversare e uscire dal bosco della paura, metto in fila tutte le espressioni, tutte le parole usate per controllare, chiedere, soffocare, dividere, sottomettere, sminuire, svilire, sfinire, bloccare il pensiero naturale e libero di una bambina, di una Donna, di una femmina.

Facendola abituare, facendole vivere in maniera naturale la sottomissione.

Quanti stereotipi nati per convincerci che le dimensioni del nostro cranio, la delicatezza della nostra pelle, quella tendenza all’ascolto, la differente forza fisico, la statura, la capacita’ di partorire..siano la prova provata della nostra inferiorità!

Si, lo so, e’ duro quello che dico.

Le parole hanno potere, salvano e uccidono.

Come l’amore.

L’amore di un padre possessivo, geloso, che nei riguardi delle proprie figlie agisce da protettore.

Per paura.

L’amore di una madre, ansiosa, tanto ansiosa quanto distante, che delega al maschio di casa ogni decisione, che agisce non agendo, accettando di essere meta’, di tutto.

Per paura.

Figlie che diventeranno donne, che si innamoreranno cercando quella protezione, quella sottomissione, rinunciando per prime a sentirsi intere.

Come possiamo riconoscere l’amore sano, vero, se non lo conosciamo?

E’ tutta questione di paura. Paura di perderci, di essere lasciati soli, di non essere all’altezza, di dover affrontare la vita, di non avere potere.

Quante domande ho cominciato a farmi quando ho capito, risalendo dal buio, che quello che chiamavo normalità era innaturale. Era innaturale dover subire.

Allora se dicessero subito ai nostri figli e alle nostre figlie che avranno paura?

Che la paura, come la gioia, la tristezza, sono naturali, che come in un gioco si alternano, si allenano, mutano, si possono superare, si possono vivere?

Se invece che di “educazione sentimentale” parlassimo di “conoscere se stessi?”

Perché sei femmina!

Ecco, a me il fatto che nella categoria dei “fragili” debbano esserci le donne mi ha sempre creato un prurito fastidioso, sin da piccola. Quanto avrei voluto ripartire dal via, come nei giochi, e rinascere, si ma maschio!

E da maschio mi comportavo, vestivo, parlavo.

Poi, mi son cresciute le tette e quell’appuntamento mensile doloroso e maledetto ha messo fine alla mia libertà.

Perché?

Mi è stato detto che quelli che erano fino al giorno prima amici con cui fare gare in bicicletta, erano diventati potenziali stupratori, perché ormai, in eta’ di sviluppo, da bambina a donna, potevo provocare istinti pericolosi.

Perché?

Scelsi di non vestirmi da donna.

Solo pantaloni.

Ho letteralmente maledetto il giorno in cui sono nata femmina. Destinata a passare di proprietà, da padre a marito, per il mio bene, per essere protetta. Ma protetta da chi? Da cosa? Una paura continua.

Il giudizio sociale è un contenitore malvagio, recinta e uccide.

Ci sarà sempre qualcuno che ogni volta che una donna parla cercherà di screditarla o ridicolizzarla, tanto più quello che dice è di fondamentale importanza.

Le ‘sorelle’ piegate e votate al martirio vigileranno che tutto si svolga secondo i piani.

Che le tette siano coperte!

Perché fragile? Rispetto a chi?

Voglio fare domande, vorrei farne cosi’ tante da essere contagiosa. Se educatissimo ad essere critici, autocritici, se ci abituassimo ad ascoltare tutte le prospettive piuttosto che imporre verità ineluttabili, forse la speranza si nutrirebbe in maniera sana.

Perché anche senza accorgercene viviamo sotto il giogo di verità dogmatiche che muovono gesti e azioni.

Se vivessimo il futuro come possibilità sarebbe tutto più chiaro, sarebbe tutto più umano, esistiamo ora e ora possiamo essere autentici, veri, liberi.

Il ‘per sempre’ non esiste e se non esiste un qualche sentimento immortale non esiste il possesso.

Siamo allevati in funzione di un prodotto, fosse pure umano.

Siamo prodotti di una creazione, prodotto di una educazione, prodotto da consumare e alla fine consumiamo gli altri.

Chi controlla tutto questo produrre e possedere? È questa la lotta continua, la guerra continua, avere il controllo del possibile per esserne proprietari.

Le stanze della libertà

Se chiudo gli occhi vedo un lungo con tante stanze, ognuna ha una enorme porta finestra da cui arriva una caldissima luce rassicurante. Io posso andare dove voglio, posso scegliere una stanza o l’altra, trovo sempre una porta finestra verso l’esterno.

Un tempo, in quello stesso luogo, dentro i miei occhi chiusi, c’era solo un corridoio lungo e stretto, solo pareti e nessuna stanza, nessuna luce.

Le parole hanno un grande potere.

E’ stato un lungo percorso, prima di poter mettere stanze, finestre, porte e un mondo interno possibile luminoso nella mia testa, dietro i miei occhi.

Le parole hanno un grande potere.

Portano dentro tutto il cammino, aprono strade, ricuciono ferite, raccontano chi sei.

Intuivo già da bambina questa mangia, ogni volta che mi veniva vietato di parlare. E ogni volta, il sapore dolciastro della saliva che dovevo rimandare giù invece di lubrificare il suono della voce, graffiava le mie sicurezze. Cosi’, imparavo a tacere affinando la penna.

Potere o magia, restava il fatto che quando le parole, libere, fluivano dalle mie dita, divenute labbra, sentivo il lucchetto che mi teneva bloccata aprirsi. Stavo mettendo mattoni alla forma di me che un giorno avrebbe scelto di vivere, parlando.

Lo sapevano bene, quanto potere le parole possono avere, tutti quegli uomini che nel corso di secoli, anzi millenni, in forme diverse e sotto bandiere diverse o con diverse strategie hanno cercato di limitare, zittire, controllare, soffocare ogni tentativo di libertà che una donna potesse concepire, sino ad impedire di studiare, di ricercare, di utilizzare la conoscenza come leva per essere libere, autonome, competenti.

Perché sapete cosa provoca una vita libera? Autonomia e competenza, essere capaci cioè di indirizzare nel modo più consapevole ed efficace la nostra essenza, e con creatività risolvere problemi.

Lo sapevano bene quasi tutti gli uomini che ho attirato nella vita, attratti da quelle parole che poi, puntualmente hanno zittito, rinchiuso, svilito, ingiuriato, calpestato, stuprato, perché frutto libero di un pensiero autodeterminato. Con fare sadico hanno collegato il desiderio di essere libera alla colpa di essere donna e peccato insieme.

Non abbiamo scampo, o lo pratichiamo o lo provochiamo!

Quando lei dice no, vuol dire sì

Sul nostro corpo, sul corpo delle donne si gioca tutta questa storia.

Il nostro corpo, teatro di leggi, divieti, tabù, castighi, vergogna.

Il nostro bellissimo corpo, musa per artisti.

Il corpo nudo che induce al peccato, tentatrice curiosa e bramosa di conoscenza, origine di tutte le colpe, che ha sempre una volontà consenziente anche se la bocca urla un NO!

Così, siamo senza scampo, se rifiutiamo in realtà con qualche parte del corpo seduciamo, se taciamo invece siamo complici.

Sempre in errore, dobbiamo essere difese da noi stesse.

Perché la nostra psicologia è contorta, ragioniamo col desiderio sessuale che va sapientemente controllato, indirizzato, punito.

Quanta violenza contro questo nostro bellissimo, fecondo, complesso corpo!

Chi ha nobilitato il dolore e la sofferenza così tanto da strutturare tutto il sistema sociale in questo modo?

Gli uomini.

Infatti le donne partoriscono nel dolore come punizione per aver originato il peccato.

Quanta violenza giustificata in poche parole?

Addirittura dio.

Ma come si può andare contro tutto questo?

Anche dio, accortosi della nostra bramosia, ha perso ogni speranza e cosi’, siamo state scacciate dell’Eden e condannate al dolore.

E ancora ci chiediamo come mai ci uccidono?

Lo fanno da secoli! Non hanno mai smesso!

La mia voce

Qui io voglio parlare però dell’effetto che fa parlare nonostante tutto; dell’effetto che fa sapere e sentire di non essere sole.

Della rabbia che ha montato a neve la bile ogni volta che abbiamo subito, del dolore sul labbro gonfio per aver osato contraddire, di quello che succede quando senti tremare il collo, sentire le mani rese inermi.

Sono nata femmina, maledetta femmina e avrei voluto tanto essere un maschio. Il giorno in cui ho avuto la certezza che tutto sarebbe stato diverso lo ricordo benissimo: io bambina, in quanto femmina, votata per nascita e per volere di dio ad essere sottomessa, avrei dovuto cedere il mio turno di gioco ad un maschietto fiero di essere l’unto del destino per evitare che si arrabbiasse!

Se leggete tra le righe il tono ironico, sì, avete inteso bene, perché quella sensazione di ingiustizia ha smesso di farmi male, dopo molto tempo.

Ha smesso di provocare rabbia e dolore quando ho smesso di cedere il passo, prendendo insulti, rifiuti, ingiurie e oggetti lanciati contro. Quando ho preso le chiavi della mia auto, che non avevo il “permesso” prima di guidare, vi ho caricato quello che di più prezioso potevo portare con me e sono andata via. Perdendo tutto quello che lasciavo, casa, tazze, tovagliette graziose, profumi e ricordi.

Avevo scelto.

Ho scelto.

Di essere libera e donna. Quella dagli occhi capaci di vedere l’invisibile, di costruire luoghi e storie. Quella che ora non sta più zitta.

Avrei tanto voluto che qualcuno mi avesse insegnato a riconoscere i segnali, che mi avesse spiegato che ci sono sempre una grandissima quantità di modi di vivere la propria vita.

Ci fanno credere che, come non si può scegliere il luogo in cui nascere e tanto meno da chi nascere, esistono strutture, convenzioni, modo di comportarsi prestabilite, prestabilite a priori e che sei senza possibilità di uscita.

Avrei tanto voluto essere abituata a mettere sempre tutto in discussione, a non considerare mai verità assolute, a riconoscere la fine, il cambiamento, la trasformazione come assolutamente naturale.

Eccola una bellissima verità: non esiste un giorno uguale all’altro, un sentimento sempre uguale eppure…si insegna che “per sempre” sia la verità.

Perché mentiamo? Perché raccontiamo bugie? Ai nostri figli, poi?

Per giustificare tutto il dolore che ingiustamente abbiano subito?

Ti riconosco per come sei

Quanto è difficile nominare, chiamare col nome quello che succede. Significa dire la verità… eh, ma la verità è per pochi: chi vuole davvero la verità? Si penserebbe tutti, no, mi dispiace, non è così: in pochi la rivendicano, perché la verità implica la responsabilità e spesso è troppo faticosa. immaginate cosa vorrebbe dire: dovremmo dirci quando non stiamo bene quando non amiamo più quando. Chi si prende questa responsabilità?

Alla fine spersonalizzando i contenuti, slegandoli dalla realtà non riusciamo più a trovarla e guardarla in faccia.

Immaginaria

Possiamo immaginare un modo diverso. Può esserci un altro modo.

Noi possiamo scoprire il nostro corpo, non siamo state spacciate dell’Eden, creiamo continuamente mondi nuovi, nuovi modi di amare, non abbiamo paura della paura. Non vogliamo essere maschi, vogliamo essere femmine.

Io sono una donna che ha scelto di essere chi è, adesso, ogni momento, ogni singolo sbalzo, ogni vento mutevole, ogni istinto, ogni pensiero. Non voglio stare zitta, voglio parlare.

Entro nella stanza rossa del piacere, lo vivo a mio modo, apro le finestre al nuovo tempo della verità, raccolgo parole da regalare alle figlie del tempo, ai figli del mondo, vivo libera.

Libera Martignetti

#Unite è una campagna di scrittura a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla. QUI la pagina Instagram con tutti i contributi.

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