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“Sei un Buscetta”: cosa vuol dire e perché Clizia Incorvaia rischia la squalifica

di Emanuela Longo

Pubblicato il 2020-02-24

“Tu sei un maledetto Buscetta”, è questa la frase incriminata pronunciata da Clizia Incorvaia e riferita ad Andrea Denver subito dopo la passata puntata del Grande Fratello Vip, dopo essere stata nominata dal ragazzo che credeva amico. Un pentito. Un maledetto, come Buscetta secondo le parole di Clizia che adesso però, proprio per questa frase …

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“Tu sei un maledetto Buscetta”, è questa la frase incriminata pronunciata da Clizia Incorvaia e riferita ad Andrea Denver subito dopo la passata puntata del Grande Fratello Vip, dopo essere stata nominata dal ragazzo che credeva amico. Un pentito. Un maledetto, come Buscetta secondo le parole di Clizia che adesso però, proprio per questa frase rischia la squalifica dal reality.

“Sei un Buscetta”: cosa vuol dire la frase di Clizia

Buscetta Clizia

Televoto annullato e provvedimento in arrivo, quasi certamente proprio a carico della ex moglie di Francesco Sarcina che paragonando Denver a Buscetta si è tirata addosso la zappa sui piedi. Il popolo dei social ne ha chiesto sin dall’inizio la squalifica immediata, mentre non sono mancati gli sponsor in fuga, che hanno deciso chiaramente di dissociarsi dalle sue parole.

Dare del Buscetta a qualcuno, secondo quanto spiegato da Clizia ma anche dalla sorella Micol Incorvaia via social, rappresenterebbe “un modo di dire comune”. Io ammetto – fortunatamente – di non averlo mai sentito pur avendo vissuto per diversi anni in Sicilia, a Palermo precisamente, proprio la città in cui nacque il tanto citato Buscetta.

Sentirlo poi oggi, nel 2020, detto da una donna, per di più siciliana, questo rappresenterebbe il vero scandalo. Perchè Buscetta non è solo il protagonista del film Il Traditore di Bellocchio, interpretato da Pierfrancesco Favino, ma è stato un boss mafioso, nonché il primo pentito di mafia – Tommaso Buscetta, don Masino, il boss dei due mondi che dir si voglia – a rivelare segreti, malaffari e struttura della “nuova mafia”, quella che ha a che fare con i traffici di stupefacenti a livello internazionale ma anche con i legami con il mondo della politica. E’ il traditore per eccellenza secondo Cosa Nostra.

Quando Clizia rivela che “sei un Buscetta” fa parte del linguaggio comune, in parte ha ragione (ma questo non la scagionerebbe), se solo fossimo ancora agli inizi degli anni Novanta.

In un articolo del 1995 Repubblica spiegava esattamente il clima a Palermo di quegli anni, quando dire “sei un Buscetta” era molto diffuso tra gli studenti dell’epoca. Si legge in merito:

“Buscetta al tuo confronto è ‘muto'”. E’ un modo di dire, dispregiativo e offensivo, diffusissimo nei quartieri popolari di Palermo, da quando l’ex boss dei due mondi decise di pentirsi.

Il quotidiano approfondiva ulteriormente la questione scrivendo:

E nelle borgate parlermitane a più alta densità mafiosa, ma non solo in quelle, la parola “spia” che a scuola si pronunciava quando qualcuno accusava un compagno di classe, adesso è stata sostituita con “pentito”. Un termine, quello di pentito, che assieme a quello di “sei un Buscetta”, si pronuncia sempre più frequentemente tra i ragazzi, e che hanno sostituito le classiche parole “offensive”. Una volta per apostrofare qualcuno si usava dire “carabiniere”, “sbirro”, “confidente”, “infame” e altro ancora. Il diffondersi della nuova terminologia tra i ragazzi preoccupa non poco i docenti di una scuola media palermitana, la “Gregorio Russo”, del quartiere popolare di Borgonuovo, casermoni di cemento armato nella periferia orientale della città.

Da allora di anni ne sono passati diversi, e sorprende come questo “modo di dire” sia considerato ancora “comune” anche tra chi giovanissimo non lo è più.

Confidiamo, a questo punto, nelle scuse più sentite – e non in quelle studiate nelle passate ore e legate al film candidato ai David di Donatello – da parte di Clizia, non solo nei confronti di Denver ma di una cultura, quella siciliana, che fortunatamente negli anni si è evoluta. Spiegando magari anche “l’importanza nella lotta alla mafia del contributo dei pentiti”, come diceva in quegli anni del tanto usato “modo di dire” il magistrato Gian Carlo Caselli, ex procuratore di Palermo.

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