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Presadiretta, “Senza Donne”: la situazione delle donne che lavorano in Italia e in Europa. Donne-mamme ai posti di comando e donne-mamme che hanno perso o dovuto lasciare il lavoro

di Simona Cocola

Pubblicato il 2010-09-27

Al centro della quarta puntata di PresaDiretta, le donne, le lavoratrici di questa Italia che ancora discrimina coloro che decidono di avere un figlio, e le “colleghe” europee tutelate in questo senso. Testimonianze reali di alcune ex lavoratrici lombarde e venete come Stefania, Chiara e Emanuela, costrette a stare casa, perché diventate madri. Stefania, laureata …

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Al centro della quarta puntata di PresaDiretta, le donne, le lavoratrici di questa Italia che ancora discrimina coloro che decidono di avere un figlio, e le “colleghe” europee tutelate in questo senso. Testimonianze reali di alcune ex lavoratrici lombarde e venete come Stefania, Chiara e Emanuela, costrette a stare casa, perché diventate madri. Stefania, laureata alla Bocconi, è in causa con la multinazionale in cui lavorava, da quando, al suo ritorno dalla maternità, si è trovata emarginata in un ufficio e ha deciso di dare le dimissioni.

Sono numerose le donne italiane che lasciano il lavoro dopo il primo figlio: Emanuela, ad esempio, vive con 480 euro al mese e con la pensione di invalidità del piccolo di tre anni, ma ha vinto la causa di licenziamento contro l’ex datore di lavoro. Un’altra, Chiara, 110 e lode Economia e Commercio, ha due figli piccoli, e a seguito della richiesta del part-time negatogli, ha lasciato l’azienda in cui ha lavorato otto anni: “La maternità è bella – dice – ma è solo una fase”.

Questo è quanto accade in Italia nel 2010.

Guardando all’Europa, si scopre che ad Oslo, in Norvegia, la situazione delle donne lavoratrici, evolutasi negli ultimi 20 anni, è diversa già a partire dal Governo, in cui si contano 10 donne su 19 ministri. La mentalità dei norvegesi è molto aperta su questo argomento: “Penso che avere lo stesso numero di donne e uomini in Parlamento sia importante” dichiara un parlamentare uomo.

Qui si crede che una società composta da uomini e donne con pari diritti sia migliore. È questa la ragione per cui il Ministero dell’Economia e dell’Industria nel 2002, ha emanato una legge che prevede che tutte le società norvegesi quotate in Borsa debbano avere almeno il 40 per cento di donne nel Consiglio di Amministrazione, pena l’esclusione dalla Borsa. Ma non è tutto. Il Ministero della Famiglia e delle Pari Opportunità norvegese prevede 56 settimane pagate all’80 per cento alle donne che hanno avuto un figlio e 10 settimane al padre, il quale, se non usufruisce del congedo parentale, perde l’intero pagamento. Questa legge agevola le famiglie e consente ai padri di stabilire una relazione più intensa con i propri figli, dal momento che si ritiene molto importante che questi ultimi possano crescere anche con la figura paterna. Inoltre, c’è una copertura totale di asili ad Oslo.

Non solo parole dunque, ma anche leggi ad hoc e sanzioni per chi non le rispetta in questo paese in cui le donne, oggi, fanno quasi due figli a testa di media, continuando a lavorare.

Al contrario, l’Italia è molto distante dalla Norvegia. Se in Norvegia, come dichiara una giornalista della televisione nazionale: “Le donne sono in televisione perché hanno talento. Non siamo delle bambole”, in Italia l’unico settore dove le donne sembrano servire parecchio è quello della pubblicità, in cui prevalgono nude – come in televisione – o alle prese con attività domestiche, quasi fossero nate per questo scopo.

Alcuni numeri confermano quanto le donne contino poco in Italia: nel Governo sono presenti solo cinque ministri donna, di cui tre senza portafoglio, su 23; nessuna donna presiede le più alte cariche dello Stato (cosa che accade in Norvegia); nessun segretario di partito è donna; ci sono pochissime donne all’interno degli enti Regione; su 15 giudici della Corte Costituzionale è presente solo una donna; l’unico direttore donna di un telegiornale Rai, quello di Rai Tre, è Bianca Berlinguer;  Concita De Gregorio, direttore de l’Unità, è una delle poche donne al comando di una testata nazionale italiana.

L’unica legge italiana a tutela delle lavoratrici è la 53 del 2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”, che, all’articolo 9 (Misure a sostegno della flessibilità di orario), prevede agevolazioni alle aziende che concedono il part-time alle donne. Un esempio positivo dell’applicazione di questa legge si riscontra in un’azienda che confeziona abiti da sposa nei dintorni di Mantova. Qui i proprietari incentivano le dipendenti con il part-time e con orari personalizzati, pagando inoltre un centro ricreativo dove lasciare i figli e mettendo a disposizione delle madri una baby-sitter gratuita. Ciò non accade, invece, in Alitalia Cai, azienda, comandata solo da uomini, che stabilisce turni lavorativi di più giorni, costringendo le madri di famiglia a stare fuori casa anche cinque giorni consecutivi.

Come si evince da questa inchiesta di Presadiretta, la situazione delle donne lavoratrici in Italia è grave. Un dato per tutti riguarda Milano, dove negli ultimi anni oltre 20 mila donne si sono licenziate dopo aver avuto un figlio, per tre motivi in particolare: l’assenza di familiari che potessero accudire il bambino; la non disponibilità di posti negli asili pubblici; la negazione del part-time da parte dell’azienda in cui prestavano servizio.

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