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Blog Tivvù intervista Paola Gassman: il teatro e papà Vittorio. Riflessioni a voce alta

di Simona Cocola

Pubblicato il 2010-09-24

Si presenta in nero, elegante ma sobria, l’attrice Paola Gassman, figlia d’arte del noto Vittorio Gassman, alla 62^ edizione del Prix Italia, il concorso internazionale per la Radio, la Televisione e il Web, che si sta svolgendo in questi giorni a Torino. Gentile e disponibile con i giornalisti, la Gassman, invitata per intervenire alla proiezione …

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Si presenta in nero, elegante ma sobria, l’attrice Paola Gassman, figlia d’arte del noto Vittorio Gassman, alla 62^ edizione del Prix Italia, il concorso internazionale per la Radio, la Televisione e il Web, che si sta svolgendo in questi giorni a Torino. Gentile e disponibile con i giornalisti, la Gassman, invitata per intervenire alla proiezione del film “Vittorio racconta Gassman. Una vita da mattatore” del regista italiano Giancarlo Scarchilli, parla volentieri di sé e della sua carriera da professionista, iniziata nel 1968.

In una delle interviste che le hanno fatto in questi anni, lei ha dichiarato di avere il teatro nel sangue, nel dna. Cosa le dà, cosa prova di diverso a fare teatro rispetto al cinema?

Il teatro mi piace di più del cinema, perché nel teatro si possono raggiungere approfondimenti e maturazioni del personaggio. Il teatro è unico, poiché si svolge davanti al pubblico in quel momento, è un’oasi per me. La differenza tra teatro e cinema è che quest’ultimo è caratterizzato dalla lentezza, e fino all’ultimo non sai, non hai il polso della situazione. Agli inizi mio padre Vittorio faceva cinema per guadagnare e non capiva la tecnica. Comunque, se capitasse un’occasione di cinema, accetterei.

Alla fine di ogni spettacolo è sempre soddisfatta di come ha recitato?

Spettacoli di cui non sono soddisfatta ci sono sempre, a volte perché il testo non è valido, altre volte per la regia,  ma tendo a difenderli, facendoli bene.

In questo momento è di nuovo in tournée?

Inizio a fine gennaio del prossimo anno una tournée in cui riprendo la commedia “Divorzio con sorpresa” di Donald Churchill, ma questa volta non lavorerò con mio marito, l’attore Ugo Pagliai. Mi piace dedicare una pausa ogni tanto, recitando commedie, che non sono meno impegnative, al posto dei classici. Al momento, invece, sono in giro con un recital di poesia e musica, un monologo sull’attrice Eleonora Duse.

Cosa significa per lei vivere d’arte? È un modo diverso dal comune di vivere?

Si fanno dei compromessi nella vita. Vivere d’arte per me ha significato separare la sfera lavorativa da quella privata. Questa è una professione che permette di stare a contatto con persone importanti, è una professione che regala qualcosa e migliora, si tratta di gioie e fatiche, ma è una fortuna fare un mestiere che piace. Io sono soddisfatta.

Lei lavora in teatro anche con i giovani?

Sì, lavoro con giovani attori, e ho anche insegnato recitazione per un breve periodo della mia vita. I ragazzi con cui ho lavorato si sono affezionati alla compagnia di Ugo Pagliai.

Il teatro è ancora amato e seguito oggi?

Il teatro ha i teatri pieni. Si cerca di non dare spazio al teatro e c’è poca attenzione per esso. A seconda dello spettacolo bisogna andare in teatri piccoli, medi e grandi.

Se non avesse fatto l’attrice, cosa le sarebbe piaciuto fare?

Se non avessi fatto questo lavoro, sarei rimasta comunque in ambito culturale, coltivando la scrittura, in cui mi sono cimentata col libro “Una grande famiglia dietro le spalle”, edito da Marsilio. Attraverso il libro ho ripercorso la storia della mia famiglia, partendo da mio nonno e cercando di capire quanto dei miei familiari è arrivato a me e quanto di me è arrivato a loro. Ho dialogato in questo libro: scrivere significa parlare ad alta voce.

Nella Finanziaria 2010 varata dal Governo sono stati previsti tagli ad oltre 200 istituti culturali. Cosa pensa al riguardo?

Probabilmente ci sono stati sempre sprechi in questo settore, ma i tagli alla cultura vanno fatti con condizione di causa. È sbagliato considerare la cultura come qualcosa di superfluo, senza capire che bisogna alimentare la testa, oltre al corpo, perché altrimenti non saremo mai giusti nel nostro modo di vivere.

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